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UN PASSO NELLA STORIA
Frank, James Smith, Doisneau, Willy Ronis.
Sono cresciuto con cinema e tv in b/n. Inoltre
per quello che faccio io il bianco e nero è più
efficace, il colore distrae sempre.
Perché ce l’ha a morte con
le macchine digitali ed è
uno strenuo difensore della
pellicola?
Io non sono contro il digitale, non mi piace
perché si scontra con la mia mentalità di
fotoreporter: la realtà la voglio documentare
così com’è, non volendo renderla più bella in
maniera artificiale.
Ecco perché il digitale non mi piace. Io scrivo
dietro alle mie stampe un timbro che dice
“foto non ritoccata al computer”. È una sorta
di garanzia di genuinità. È questione di
fiducia che va mantenuta con chi ti guarda. Il
fotoritocco è un taroccamento per cambiare
il reale. E poi con il digitale si rischia di
non pensare quando si fa una foto perché
tanto “se faccio mille foto una buona ci
sarà”. E invece quelle sono belle immagini,
non fotografie: questa deve documentare.
Capisco che per molti fotografi è un grande
vantaggio poter inviare in tutto il mondo la
fotografia appena scattata. Anche se io non
amo questa accelerazione della vita e della
fotografia: posso aspettare giorni per vedere
il mio lavoro.
Si dice che le pellicole non
si trovino più?
È una falsità. La Kodak è uscita l’anno scorso
con due pellicole nuove, nonostante la crisi
e la ristrutturazione aziendale. E poi le
confesso una cosa: a Milano ho trovato dei
rullini cinesi, in bianco e nero, a un euro.
In alto e in basso, le manifestazioni
in Piazza Duomo a Milano e, nella foto centrale,
il reportage sulla vita dei campi nomadi