Foto-Notiziario Dicembre 2013 - page 32

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L’INCONTRO
aperti, in realtà già tra gli obiettivi dei
fondatori Flavio Lucchini, artista e inventore
di giornali, da «Vogue» ad «Amica», e la
moglie Gisella Borioli - diventati editori con
Edimoda - era creare un polo della creatività
a Milano. Ne entra a far parte anche
Fabrizio Ferri, fotografo che collaborava
con la coppia Borioli/Lucchini, e che ripete
qualche anno dopo l’esperienza a New York
fondando Industria /Superstudio. «L’intento
era creare un polo internazionale della
fotografia», spiega Gisella Borioli. Ma poco
dopo diventa la “cittadella della creatività”
perché intorno agli studi si sviluppano
tutti i “servizi per l’immagine” (la casa
editrice Edimoda era a pochi passi): studi di
produzione e post-produzione, una scuola
per la fotografia, modeling, giornalismo di
moda, una agenzia stampa, guardaroba per
testate, agenzie fotografiche, e ospitalità
per lo start-up di molte nuove testate e di
free-press (oggi ci sono start up web). Era
un punto d’incontro e scambio tra fotografi,
redattori, art director, stilisti: al bar potevi
incontrare Bruce Weber e Richard Avedon
bre un caffé. Di solito non proprio incontri
quotidiani... Tra le vicende più famose negli
annali del Superstudio è raccolta quella su
Helmut Newton, che proprio lì, sulle scale
si imbatte in una modella seminuda con un
trench indossato di sfuggita, e scatta una foto
diventata tra le più famose. Il Superstudio
group, diretto da Danilo Pasqua, si può dire,
senza tema di smentita, che è il frutto di
una ottima intuizione, di un affinato senso
del tempo, o meglio dello spirito del tempo
di Gisella Boroli e Flavio Lucchini (oggi al
Superstudiogroup partecipa attivamente
anche Giulia Borioli) , due giornalisti che
arrivavano dalla Condé Nast, (casa editrice
della moda per eccellenza, da Vogue a Uomo
Vogue a molti altri giornali), che volevano
“Fare qualcosa di nuovo”, come dichiara
Gisella Borioli che già aveva diretto “Lei”, una
rivista femminile per quindicenni sveglie (e
da svegliare) dove suggeriva che da grandi
si poteva anche andare a vivere da sole e
fare viaggi in Afghanistan, disegnarsi i vestiti
e le borse, tingersi i capelli di vari colori:
insomma inventarsi una vita divertente e un
po’ fuori dagli schemi. “Flavio e io volevamo
creare un progetto che interpretasse quel
momento. C’era molta vitalità nella moda
italiana e la Condé Nast, a cui dobbiamo
molto, era più attenta agli Stati Uniti, e noi
invece sapevamo che c’era una schiera di
fotografi italiani in gamba cui dare spazio
e visibilità”. Ma sopratutto sulle loro riviste
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