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della Federazione
Italiana Associazio-
ni Fotografiche, nel
2003 non sono nien-
te male. Ma le gra-
tificazioni arrivano
anche da oltreoce-
ano: la sua leggen-
daria fotografia ‘Gli
italiani si voltano’,
con un gruppo di
uomini che si gira-
no al passaggio di
Moira Orfei di schie-
na, è stato il mani-
festo della mostra
‘The Italian Meta-
morphosis’, che si
è svolta nel 1994 al
Guggenheim
Mu-
seum di New York.
Si spegne il 27 mag-
gio 2013 all’età di 89
anni, nella clinica
milanese in cui era
in cura già da tem-
po. Proprio poche
settimane prima, in
occasione del Pho-
toshow 2013 di Mi-
lano, gli era stato
dedicato il “Premio
alla Carriera” come
ringraziamento da
parte della città che
ha vissuto e amato,
per immagini che
rimangono simbolo
dei mutamenti fisici
e sociologici di un’I-
talia che rincorre a
perdifiato il ritmo
del cambiamento.
IL FOTOGRAFO DELLE EPOCHE
“Bellunese di nascita, ma vissuto quasi sempre a Milano, Mario De Biasi
è uno dei decani del fotogiornalismo italiano. Quando inizia la sua ‘rico-
gnizione’ fotografica nella Milano del Dopoguerra è capace di far com-
prendere l’evoluzione dei costumi e il dinamismo della metropoli. Con
le sue immagini offre una chiave di lettura di una città che in quasi ses-
sant’anni subisce trasformazioni tanto significative da renderla spesso
irriconoscibile”. Nelle opere di De Biasi il tempo sembra dilatarsi, quei
pochi framenti di secondo sanciti dal click della sua macchina fotografi-
ca diventano anni, decadi, epoche. Una fotografia, un istantaneo disegno
di luce, come può un lasso di tempo così breve riuscire a raccontare così
tanto? Un così eterogeneo, variopinto, indefinibile lasso di tempo che
anche uno storico faticherebbe a inquadrare. Inutile scervellarsi, sareb-
be come chiedersi perché un fachiro riesce a sopportare il dolore, ci ri-
esce, punto. Vero è che riuscire a cogliere l’attimo perfetto è l’anima del
mestiere di fotoreporter, ma portare sempre a casa un buon servizio non
è da tutti, soprattutto se per 132 volte il lavoro finisce in copertina su una
rivista del calibro di “Epoca”. Poi arrivare al punto di farsi commissiona-
re la prima pagina dalla stessa è forse l’indiscutibile traguardo persona-
le di ogni reporter di mestiere. La sua particolarità e la sua forza, che lo
hanno reso unico nel suo mestiere, non sono da ricercare nei giochi di
luce e ombra che disegnano un bianco e nero puramente cronachistico,
bensì nella composizione e nelle geometrie che si nascondono nei suoi
scatti, dai ritratti ai campi lunghi tipici del fotogiornalismo.