Foto-Notiziario Maggio 2013 - page 94

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Era l’estate del 1826 quando Joseph-
Nicéphore Niépce dopo lunghi anni di
esperimenti, ottiene la prima immagine
stabile per effetto della luce su un mate-
riale sensibile ad essa: la veduta goduta
dalla finestra del suo studio a Gras, a po-
chi chilometri da Parigi.
L’immagine sulla lastra di peltro di 16 x
20 cm spalmata con bitume di Giudea,
materiale in un certo grado fotosensi-
bile, fu ottenuta con un’esposizione (il
nostro click) di un’intera giornata; tempo
che permise alla luce di produrre il suo
effetto: quello di indurire e sbiadire il
bitume determinando il chiaroscuro del
soggetto sul supporto di peltro, messo
poi a nudo con olio di lavanda e petro-
lio, che ebbero il compito di asportare le
parti non colpite dalla luce.
Era nata la foto-grafia (che Niépce chia-
mò eliografia), la scrittura con la luce,
tecnica, ben presto perfezionata e desti-
nata a sconvolgere non solo il modo di
fare rappresentazione, ma il mondo tutto
della comunicazione.
Il lungo tempo di posa necessario, fece
puntare la rudimentale attrezzatura ver-
so un soggetto molto paziente, quale solo
un’architettura poteva essere, facendo
coincidere la nascita della fotografia con
la nascita della fotografia d’architettura.
Dal quel momento, il soggetto architet-
tonico è stato una costante nella storia
della fotografia. Ma che rapporto c’è tra
lo spazio, la fotografia restituisce lo spa-
zio attraverso la luce.
Spazio, luce e tempo in combinazione con
la nostra visione si completano nell’atto
fotografico. La fotografia inizia con un’os-
servazione della luce sulla superficie de-
gli oggetti. Vedere una fotografia è vedere
la luce riflessa due volte: quella riflessa
dall’oggetto che costituisce la fotografia,
e la luce riflessa dalla superficie della
fotografia verso l’osservatore. La luce in
una fotografia ha due direzioni, una inter-
na verso la fotografia e un’altra esterna
verso l’osservatore.
Dal punto di vista tecnico, è convenzione
fotografare l’architettura in condizioni di
luce ideale. A partire dalle riprese dell’800,
fino ai nostri giorni, la luce preferita per la
rappresentazione fotografica dell’archi-
tettura, è quella che arriva dall’alto, con i
raggi che cadono a 45° rispetto al sogget-
to, che garantisce ombre equilibrate (vedi
Alinari). Ci sono stati, però, casi in cui la
luce scelta non è proprio quella “subli-
me”; ricordiamo le riprese in luce difficile
di Alfred Stieglitz e Paul Strend dei primi
anni del 1900 e la Paris de nuit di Brassaï,
solo per citarne alcuni. L’architettura, in-
fatti, è vissuta, insieme al suo spazio, non
soltanto in condizioni di luce “alla Alinari”,
ma anche nel crescere e nel calare della
luce, dall’alba al tramonto compreso la
notte. E allora?
“Fotografare l’architettura è quasi im-
possibile. Si possono trovare le ragioni
profonde di questa difficoltà nell’essenza
stessa del fenomeno architettonico, che,
pur realizzandosi nella precisa determi-
nazione spaziale, non può essere inteso
se non percorrendone gli eventi nella viva
successione dei momenti temporali che
continuamente ne mutano la relazione
con noi”
.
1
Mario Ferrara
1
E.N. Rogers, Architettura e fotografia. Nota in me-
moria di Werner Bischof, in “Casabella-Continuità”,
n.205, Milano 1955.
architettura, fotografia e luce?
Per Benjamin, si fruisce dell’architettura
in modo “tattile” e in modo “ottico”, cioè
attraverso l’uso e attraverso la perce-
zione. Benjamin distingue la percezione
“impegnata” da quella “distratta”, e se
per la pittura e la scultura la seconda fa
sprofondare l’opera d’arte, per l’architet-
tura la percezione distratta conferma il
rapporto intimo e originario dell’archi-
tettura con l’uomo e dà un’appropriazio-
ne dell’oggetto qualitativamente diversa.
La percezione distratta è l’unica cono-
scenza di un’opera architettonica, que-
sta distingue l’architettura dalle altre
arti che hanno bisogno di attenzione per
essere osservate.
L’architettura va compresa, vissuta e mi-
surata, senza estrapolarla dal suo tempo
e dal suo spazio. Spazio e tempo sono
elementi essenziali della fotografia, sono
i parametri per definire la realtà fotografi-
ca. Sia lo spazio architettonico che quello
fotografico sono definiti dalla geometria
e dalla matematica che regolano non
solo il fare architettonico, ma anche l’at-
to fotografico. Richard Pare in “Il Tempo
e la pietra” comparso su Fotologia vol.10
di Autunno/Inverno 1988, ritiene che lo
spazio e la luce prendono forma grazie
all’architettura e alla fotografia, che im-
pongono i loro limiti rendendone possibile
la percezione e quindi la conoscenza.
L’architettura modifica la luce attraverso
LUCE,ARCHITETTURA, FOTOGRAFIA
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