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“QUELLO CHE IO CERCAVO
DI MOSTRARE ERA UN MONDO
DOVE MI SAREI SENTITO BENE,
DOVE LE PERSONE SAREBBERO
STATE GENTILI, DOVE AVREI
TROVATO LA TENEREZZA
CHE SPERAVO DI RICEVERE.
LE MIE FOTO ERANO COME
UNA PROVA CHE QUESTO MONDO
PUÒ ESISTERE.”
Robert Doisneau nasce nel 1912 a Gen-
tilly,
un piccolo paese nel nord della
Francia, ma prima di proferire le belle
parole sopraccitate dovrà trascorrere
un po’ di tempo. Partiamo dunque con il
rewind: alla tenera età di tredici anni il
giovane Robert fa fagotto e si trasferisce
a Parigi per studiare all’ Ecole Estienne.
Diplomatosi in litografia nel ’29, il suo
primo contatto con il mondo della foto-
grafia avviene un anno dopo lavorando
per uno studio pubblicitario specializ-
zato in prodotti farmaceutici. Impugna-
ta finalmente la macchina fotografica
all’età di ventidue anni, viene assunto
come fotografo alle officine Renault.
L’esperienza alla casa automobilistica
non gli è congeniale, l’inespressività del
metallo non riesce a soddisfare la sua
carica creativa e dopo cinque anni viene
cacciato dalle officine francesi per as-
senteismo.
Dopo un breve periodo come fotografo
e illustratore free-lance, nel 1946 entra
a far parte della Rapho, una delle più
antiche agenzie di stampa specializzate
nella fotografia umanista. A questo pun-
to inizia definitivamente la sua carriera
di artista ed ecco che seguono i pri-
mi premi e riconoscimenti. Negli anni
settanta raggiunge fama e notorietà,
conseguendo premi di prestigio come
il “Grand Prix National de la Photo-
graphie”: da quel momento le sue opere
vengono esposte in tutto il mondo.
Il suo archivio conta oltre 450.000 foto-
grafie e la raccolta esposta allo Spazio
Oberdan di Milano dal 20 Febbraio al 5
maggio ne raccoglie oltre 200 scattate
tra il 1934 e il 1991. Le fotografie origi-
nali documentano il legame inscindibi-
le fra Robert Doisneau, Parigi e la sua
gente.
piano al campo più
lungo l’essere umano
è sempre al centro
della sua opera.
(Emblematica del pri-
mato della persona
nella sua fotografia è
la serie di photo che
ritraggono persone in
preda allo stupore os-
servando la Gioconda,
la quale per l’appunto
non fa nemmeno par-
te dell’inquadratura).
I volti della sua gente,
i loro sguardi, parla-
no a tal punto da riu-
scire a farti regredire
a teorie tribali di ani-
me intrappolate nella
pellicola.
Trovarsi ad ammirare
le opere del fotogra-
fo non è tuttavia un
compito che va preso
alla leggera, i ruoli si
invertono, sono i sog-
getti che ti penetrano
con il loro sguardo
fisso, dall’alto verso il
basso e da li governa-
no i tuoi sentimenti. Ti
rendi subito conto che
sei solo uno dei tan-
ti, loro sono uniche e
immortali. Una foto di
Doisneau può piacere
o non piacere, ma in
ogni caso ti domina.
Il Bacio dell’Hotel de Ville, 1950_copyright © atelier Robert Doisneau
La ballata
di Pierrette
d’Orient, 1953
copyright ©
atelier Robert
Doisneau
Selezione per il Concert Mayal, 1952
copyright © atelier Robert Doisneau
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