44
mamma entrambe molto brave a cucinare. Mia
mamma era abbonata a La Cucina Italiana e a
casa nostra la planetaria c’era prima che na-
scessi io!
Non ci sono ancora scuole
o corsi per food stylist,
tu come hai iniziato questo
percorso?
Da autodidatta. Scrivevo ricette già da alcuni anni
quando ho fatto il mio ingresso in studio, ricordo
ancora la faccia di Luca Colombo, il fotografo con
cui ho fatto il primo servizio di cucina: avevo pre-
parato tutti i piatti insieme, come per un pranzo,
lui è trasecolato e per sdrammatizzare ha detto
“vuol dire che ci ricorderemo di chiamarti quando
dobbiamo scattare un buffet”. Così ho imparato
che i tempi del set non sono quelli di un corso di
cucina, che ogni fotografo ha i suoi e che la capa-
cità di adattamento alle situazioni e agli imprevi-
sti è una delle doti migliori che possa avere chi
vuol fare questo mestiere. Di solito chi aspirava
a diventare home economist (il sinonimo di food
stylist) faceva prima la gavetta di un paio di mesi
affiancando chi era già esperta, e se poi era bra-
va (o bravo) iniziava a lavorare autonomamente,
per me non è andata così. E se da una parte è
stato più faticoso, dall’altra ne sono felice perché
ho iniziato il mio percorso senza farmi condizio-
nare dalla “mano” di qualcun altro, e ho potuto
esprimere da subito quello che avevo dentro, quel
minimalismo che allora era molto controcorren-
te ma che poi è stato seguito anche da chi aveva
tutt’altra impostazione.
Cosa deve avere un piatto per
essere interessante a livello
fotografico?
Farti provare un’emozione.
Lavori principalmente con le
riviste oppure direttamente
con i fotografi?
Con entrambi. Ho sempre avuto collaborazioni
continuative con le riviste, a loro propongo le
scalette dei servizi che infine realizzo con i fo-
tografi, mentre è più probabile che i fotografi mi
contattino per una pubblicità.
Ci sono dei fotografi con cui
ami lavorare particolarmente?
Ho bisogno della massima autonomia, così fin
dall’inizio ho deciso di lavorare solo per riviste
che fossero in sintonia con la mia visione di food
styling e di contenuti perché diversamente non
sarei libera di esprimermi. Alla stessa maniera
con i fotografi: ho bisogno di sentirmi in sintonia
sia con loro che con le stylist che fanno la ricerca
degli oggetti per il set. Una foto di food concen-
tra il lavoro di tre persone, e riflette le loro affi-
nità di vedute: se c’è disallineamento, si noterà
inevitabilmente nello scatto. Ho avuto la fortu-
na di lavorare con i più noti fotografi food come
Marino Visigalli, Paolo Nobile, Luca Colombo,
Giandomenico Frassi, Francesca Moscheni, Sil-
via Badalotti, Michele Tabozzi… e con le migliori
stylist come Ornella Rota e Marta Mariani, e da
tutti loro ho imparato qualcosa di importante.
Esistono degli attrezzi del
mestiere?
Dipende. A chi comeme lavora inmodo naturale
basta poco o nulla oltre alla normale attrezza-
tura di una cucina. A parte necessità specifiche
legate al tema del servizio che solitamente mi
procuro da sola, diciamo che ognuno ha qualco-
sa che usa di più, può essere la pinza che aiuta
a posizionare il cibo dove si vuole ma che va uti-
lizzata con attenzione se si desidera mantenere
un’immagine naturale del piatto, mentre chi fa
esclusivamente pubblicità solitamente utilizza
qualche utensile in più, c’è addirittura chi arri-
va in studio con la borsa degli attrezzi dove tro-
vi anche il bisturi. Ci sono poi cose molto utili
sul set come le siringhe per aspirare eventuali
liquidi in eccesso, i vaporizzatori per rinfrescare
il cibo e i cotton fioc per pulire con precisione il
piatto, per il resto vale la fantasia e la capacità di
adattamento: in mancanza di alternative si può
sbucciare uno spicchio d’aglio anche col coltello
del pane.
C’è qualche nuova tendenza
che riguarda il food?
La semplicità nordica, i vegetali e l’eleganza,
credo sia questo. Un po’ lo shabby chic versione
food, ma molto molto chic.
Ph Sandra Longinotti