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preparandole per offrirle all’obiettivo del fratello
maggiore. Insieme inventarono le ricette filmate,
quelle step by step per gli editori Armando Curcio
e Alberto Peruzzo, oggi adottate da tutte le riviste
culinarie. “Facevo la spesa, scegliendo con cura
gli alimenti da cucinare – racconta Renato – io
preparavo le pietanze e mio fratello interveniva
nello scatto del piatto finito.”
Quando è arrivato il momento
della scelta di aprire uno stu-
dio in proprio?
Ricordo che le prime foto per conto mio le ho fat-
te nell’’83. Era un menu del Quattrocento che mi
ha fatto riflettere sulla mia figura professionale:
era giunto il momento di scegliere se continuare
a fare il cuoco o diventare realmente un fotogra-
fo. Così decisi di preparare un book di presen-
tazione. Un giorno ho consegnato un lavoro di
Riccardo alla rivista Gioia e colsi l’occasione per
lasciare anche unmio portfolio di fotografie. Uscii
dalla redazione con un lavoro in tasca. Mi avevano
commissionato una serie di scatti di moda e still
life; fu così che cominciai la mia attività e dopo
poco mi convinsi ad aprire uno studio tutto mio.
Durante i primi anni fotografavo di tutto, la ga-
stronomia rappresentava solo un 20% del mio
fatturato. Ma nel 1992 ci fu la svolta. Decisi di
scegliere la strada della specializzazione e tagliai
fuori tutta la clientela che non faceva food. Era
iniziato un periodo florido. Ricordo con piacere i
cataloghi Bofrost, realizzati per diversi anni, poi
i libri di Vorwerk, l’azienda che produce il famoso
robot da cucina Bimby.
Durante la tua carriera hai
avuto modo di lavorare per di-
versi grandi marchi, Findus,
Saiwa, Zuegg, ma quanti sono?
Tanti, praticamente tutti. Ma la soddisfazione più
grande era che nessuno mi diceva cosa dovevo
fare. Tutti si fidavano di me e del mio estro. Una
situazione che depone a favore della creatività:
un artista non può essere condizionato.
Mani in pasta... un tuo commen-
to su facebook fa riferimento
all’attitudine da chef, requi-
sito quasi indispensabile per