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uno storyteller, ti ritrovi
in questa definizione?
Nella definizione di storytelling mi ci ritrovo.
Spesso vengo definito fotogiornalista, principal-
mente per il mio lavoro in Italia con Contrasto,
ma è una definizione in cui non mi ritrovo. Se
dovessi scegliere tra definirmi scrittore o gior-
nalista mi definirei più scrittore, perché non rac-
conto un fatto o un episodio, io cerco di abbellire
la realtà. Anche se sembra tutto spontaneo, c’è
sempre una voglia di rimpastare il tutto e rac-
contarlo in maniera più appetibile. Sono una vit-
tima dell’estetica.
Non lavori in coppia con
un foodstyling, come ti
organizzi in questo senso?
Improvvisi?
Raccontando delle storie non è possibile fare
una ricerca a priori, dobbiamo necessariamente
improvvisare con quello che si ha a disposizione
al momento. Fondamentalmente l’importante è
che ci sia una luce e un cavalletto, basta anche
una finestra in effetti. Poi il cibo mi piace viverlo,
lo mangio mentre lo fotografo, per esempio, mi
piace che sia vissuto in modo che possa comu-
nicare qualcosa. Mi piace mangiare, dalla cuci-
na creativa alla cucina di strada, sono curioso e
voglio provare tutto. Nelle mie foto cerco proprio
di far vivere la passione per il cibo, di raccontare
la storia che sta dietro o a contorno del piatto.
Ci sono dei fotografi a
cui ti ispiri o che stimi
particolarmente?
I fotografi della grande depressione americana
sono quelli chemi hanno fatto appassionare alla
fotografia, ma mi piacciono anche fotografi più
contemporanei come Juergen Teller, Wolfgang
Tillmans, William Eggleston, Ryan McGinley,
Nadav Kander, Gregory Crewdson, Dan Winn-
ters, Brian Finke e tanti altri. Ultimamente sono
molto colpito dal lavoro di un mio collega di uni-
versità: Joao Canziani. Il suo lavoro su Lima mi
muove parecchio. Poi in realtà cerco di essere
spontaneo e non ispirarmi a qualcuno in parti-
colare, credo di avere uno stilee cerco di essere
coerente con quello. Diciamo che cerco di fare
quello che mi piace.
Il tuo stile è molto nordico,
se vedessi le tue foto sen-
za conoscerti penserei che tu
possa essere svedese o danese.
Ora vivo in Germania, ma alla fine degli anni ’90
vivevo in Inghilterra, con una grafica tedesca
che mi ha influenzato molto. Parlavamo di com-
posizione, lei veniva da un’estetica grafica e io
fotografica. Mi ha fatto vedere delle cose che
mi hanno sicuramente influenzato, insieme al
fatto, in generale, di vivere a Londra. Da lì ho
fatto mia un’estetica tipicamente nordeuropea.
Tutti i posti che ho visto e le persone che ho co-
nosciuto hanno contribuito a creare molteplici
strati di influenze.
Il tuo prossimo progetto?
Per il 2015 sto lavorando a una personale a Ber-
lino sul parco Gleisdreieck, un parco che era
proprio tra la zona est e la zona ovest che per
anni è stata terra di nessuno. Ora invece è stato
ristrutturato, ci hanno messo impianti sportivi e
c’è ancora quell’atmosfera di confine tra passa-
to e futuro. Sarà un progetto in bianco e nero.
Ovviamente poi ci sono tutti i lavori commerciali
che ho in corso che non sono meno importanti.
Che attrezzatura utilizzi?
Sono tornato recentemente a utilizzare il medio
formato con una Pentax 645D. Quando usavo
solo la pellicola usavo una Pentax medio forma-
to, poi sono passato a una reflex digitale e ulti-
mamente ho deciso di tornare al vecchio amore,
una scelta proprio adatta a me.