Foto-Notiziario Settembre 2014 - page 47

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chi i cibi deve mostrarli al grande pubblico.
Quanto valore ha la conoscenza dell’ambiente
culinario per un fotografo enogastronomico?
Saper gestire il lavoro in tutte le sue fasi ha una grande importanza. Io e
mio fratello abbiamo avuto la fortuna di conoscere già le basi di una cor-
retta gestione dell’ambiente culinario grazie alle attitudini di famiglia. Per
questo ho sempre avuto pochi collaboratori, anche se ho lavorato con le
migliori food stylist d’Italia. Spesso però mi capitava di scattare il sabato
o la domenica, da solo. Senza dover dipendere da nessuno avevo la pos-
sibilità di dare libero sfogo all’estro creativo, sia nella preparazione delle
pietanze, sia nell’allestimento del set. Saper mettere le “mani in pasta”
vuol dire anche conoscere bene gli alimenti per capire quando una frittura
va tirata fuori dall’olio, o i tempi di esposizione all’aria ad esempio di una
mela appena tagliata, unamelanzana, una zucchina. Sono un fautore della
normalità, del prodotto “nature”. Nella moda o nel beauty c’era sempre
bisogno della truccatrice sul set, pronta a dare più o meno contrasto alle
guance o agli occhi della modella. Non mi piaceva. Avevo proposto una
serie di servizi con modelle normali, dalle forme più simili a quelle che
possiamo vedere ogni giorno per strada, ma gli art director delle riviste
patinate, e dei brand di abbigliamento hanno bocciato l’idea. Loro vivono
in un mondo a parte, dove l’apparire vale più dell’essere, ma questo ha
portato anche alla snaturazione a favore della diversità.
Il set nel mondo della fotografia va studiato
nei minimi dettagli, ma le immagini del food
spesso diventano quasi macro, con profondità
di campo ridotta ai minimi termini. Come lavora
Renato Marcialis?
Quella del fuoco stretto è una tendenza degli ultimi quindici anni; prima si
scattava con diaframma 64. Nel 1996 studiando e lavorando ho introdotto
la tecnica del fuoco intervallato, in cui abbinavo due scatti sulla stessa
lastra, con diaframmi differenziati. Lavoravo con il banco ottico, rigorosa-
mente in analogico fino al 2004, quando ho introdotto il digitale. Oggi fo-
tografo con macchine Nikon e uno zoom 70-200, pochissimi accessori, a
parte la lampada dicroica a fibra ottica che uso per le pennellate di luce.
Non usi Photoshop?
Postproduzione zero assoluto. Non ho mai usato Photoshop, a parte qual-
che piccolo esperimento, come il mio ritratto: trasformato per gioco.
Consegno sempre i lavori in formato raw, lascio la postproduzione ai gra-
fici e alle agenzie pubblicitarie. Uso ancora vecchi trucchi per ottimizzare il
soggetto direttamente sul set, tipo una leggera nebulizzazione con olio di
mandorla, quello che serve solitamente per lucidare le foglie delle piante.
Solo quando devo realizzare scatti pubblicitari faccio uso di mockup, anche
quelli realizzati da me. Ma per i ricettari vado sul concreto: tutto vero, dal
ghiaccio alla pasta fumante.
C’è stata un’occasione in cui hai ringraziato
il cielo di saper cucinare?
Sempre! Una volta ricordo che un’azienda di dolci aveva richiesto 20
foto di bicchierini di crema al caffè, alla nocciola e sorbettini vari in due
giorni di lavoro. Mi hanno mandato una persona per la preparazione del
set; il giorno dello shooting si è presentato con della panna spray. Alla
presenza del cliente abbiamo perso più di mezz’ora, con la panna che
continuava a schizzare e a rovinare i dettagli del prodotto da fotografare,
al ché ho preso in mano la situazione. Ho aperto la cucina, ho montato
la panna fresca e armato di sac a poche nel giro di sei ore ho concluso
tutto il lavoro. Alla fine della giornata ero esausto, ma enormemente
soddisfatto,così come il mio cliente…
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