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Ha trascorso gli ultimi trent’anni della propria vita tra venti impetuosi e
spettacolari tramonti, sui mari di tutto il mondo, sempre in compagnia
della sua reflex. Sempre pronto a congelare momenti di grande poesia,
già impressi nella sua immaginazione prima che accedessero.
Carlo Borlenghi, comasco, classe 1956, rappresenta un’icona della
fotografia sportiva: la vela.
Come ti sei avvicinato alla fotografia e
qual è stata la brezza che ti ha portato a
vivere la vela da spettatore privilegiato?
La fotografia era il mio hobby, vivendo sul lago di Como durante il perio-
do universitario seguivo tutte le regate locali e dà lì è nata la passione
per l’acqua. Ho avuto poi la fortuna di iniziare a collaborare con la rivi-
sta Uomo Mare Vogue, avevo 19 anni e con l’aiuto di uno straordinario
direttore quale era Giancarlo Scalfatti ho imparato un nuovo modo di
vedere gli eventi, di rappresentare i personaggi. È stata una scuola for-
midabile e direi indispensabile.
Sei stato uno dei primi fotografi italiani
a immortalare i campioni del windsurf e
un’immagine in particolare ti ha permesso
di vincere l’ambito premio Marian Skubin.
Era il 1983 e la foto ritraeva la leggenda
vivente della tavola a vela Robby Naish...
Ero alle Hawaii per le regate di windsurf e un giorno decisi di seguire la
competizione dall’elicottero per cercare di ottenere delle inquadrature
differenti dagli altri. Ho seguito in particolare Robby Naish che, veden-
do l’elicottero sopra di lui, si è messo a fare delle acrobazie incredibili,
permettendomi di fare delle belle foto. Una di queste vinse il premio
Marian Skubin.
Lo stile di Carlo Borlenghi ha influenzato
molti professionisti, ma la sua capacità di
prevedere azioni che si svolgono in momenti
concitati e che durano meno di un batter
d’ali è stupefacente. Visioni avvolgenti
in cui gli sbuffi del mare in tempesta o
le vele imbizzarrite sembrano attendere
il ciack del regista per entrare nella
composizione dell’immagine