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stenti sono stati sfruttati. In America tutti sono
trattati con la massima dignità e ogni profes-
sionalità viene riconosciuta. È importante che
questo venga compreso anche qui, non è trop-
po tardi per cambiare rotta.
Che progetti stai seguendo
ora?
Lavoro con la Condé Nast Italia, ho fatto un libro
per Tod’s e sto lavorando con un sacco di gruppi
diversi. Lavoro molto nella moda, ma anche tan-
to nel ritratto, sia in Italia che all’estero. E penso
sempre che il bello deve ancora venire.
New York perché hai deciso di
tornare in Italia?
In Europa si respira un’altra atmosfera e una
cultura di cui mi sento parte, motivo per cui
sono tornato a viverci. New York però è il posto
che ti dimostra che se vuoi una cosa puoi farla.
Nessuno ti aiuta, ma non c’è pregiudizio inizia-
le, se davvero ci credi, ce la farai. Ho comunque
una casa a New York, ma ho deciso di non vi-
vere lì full time. Sono fiero di essere italiano e
mi piace stare qui. Con internet alla fine puoi
lavorare a distanza e avere una base europea ti
permette di lavorare di più con la Russia, con la
Cina, il Giappone e in generale tutta l’Asia. Se
sei a New York è impensabile per il fuso.
Cosa ti ha insegnato l’espe-
rienza newyorkese?
Sicuramente l’etica del lavoro. In Italia i foto-
grafi sono colpevoli di non aver difeso i diritti
degli assistenti i quali, non potendosi mante-
nere in maniera dignitosa, hanno dovuto tro-
vare qualcosa d’altro da fare. Fare l’assistente
invece è un lavoro, si può guadagnare bene e
in più ci sono delle responsabilità inferiori ri-
spetto a quelle del fotografo. A New York ce ne
sono tantissimi e sono preparati in maniera
eccellente. In Italia invece è diventato davvero
difficile, perché veniamo da anni in cui gli assi-
Mathias Lauridsen