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Foto di Paolo Leone
ma faccio anche ritratti e reportage. Certo, non
sono un fotografo di guerra. Mi piace il bello in as-
soluto, la mia estetica cerca di essere quella che
ricerca il bello e lamoda probabilmente è proprio
il tipo di fotografia perfetta per questa ricerca.
Non ti sei formato in una
scuola, ma non per questo non
hai studiato, la tua, anzi, è
stata una ricerca davvero se-
ria, mi sbaglio?
Ho iniziato chiedendomi “come si fa quella
foto?”, quindi in un modo forse meno spontaneo
rispetto a un fotografo che inizia per esprimere
qualcosa. Io non avevo il bisogno di esprimermi,
avevo proprio bisogno di costruirmi una profes-
sionalità e un lavoro. Capire tutto.
Hai quindi iniziato dalla tec-
nica, poi?
Quella è stata la priorità. Volevo sentirmi sicuro
di poter servire un cliente nel migliore dei modi.
Avevo chiaro il concetto di fotografia commer-
ciale: cioè una qualunque fotografia fatta su
commissione. Anche un fotoreporter di National
Geographic, per fare un esempio, è un fotografo
commerciale. Sono persone che vivono guada-
gnando con la fotografia. Solo i fotografi d’arte
sono liberi da questa etichetta. Spesso la fotogra-
fia commerciale viene inserita in un’estetica pre-
definita, ma io non riesco a riconoscermi in que-
sta definizione. Essere un fotografo commerciale
per me è un merito, significa che hai un lavoro e
una professionalità.
Come lo vedi questo periodo di
crisi?
I budget sono stati tagliati per alcuni clienti i cui
amministratori non hanno idea di quanto possa
danneggiare una brutta foto. Nel momento in
cui il cliente spende dei soldi (studio, modelle,
truccatore, parrucchieri, catering, aerei, ecc...)
è impossibile che risparmi proprio sul fotogra-
fo. I grossi clienti sono spesso quotati in borsa,
basta scaricare il bilancio del marchio e capire
se davvero hanno problemi di bilancio o meno. Il
fotografo non deve essere pagato al giorno, deve
essere pagato per quello che sa, per la cultura
che c’è dietro, per gli anni di studio che, certo,
vengono condensati in una giornata lavorativa,
ma non si sta pagando solo il tempo di quel sin-
golo giorno. Finché esisteranno i clienti esiste-
ranno anche i fotografi professionisti. La moda
non finirà come non finirà la vanità e finiranno
certe necessità degli esseri umani. Fa parte del
mio modo di essere fiducioso. Non bisogna mai
svalutare il proprio lavoro, c’è la crisi, certo, ma
quando vedi che i marchi si muovono, vanno alle
fiere, fanno le sfilate, non è possibile che non ab-
biano il budget per una campagna. Ci sono tanti
giornali, tanti clienti, tanto mondo. Certo, tutti
vorremmo il cliente sotto casa, ma spesso non è
possibile e bisogna andarseli a cercare.
È per questo che sei andato a
New York?
A New York ci sono andato per una serie di cir-
costanze. Stavo tanto bene in Italia, lavoravo già
molto, ma avevo comunque appena iniziato la
mia carriera e alcune persone, che mi avevano
sostenuto agli inizi, mi avevano consigliato di an-
dare a New York. Io mi sono fidato dei loro consi-
gli, come già avevo fatto in passato. Inizialmente
pensavo di starci solo un anno poi mi sono trovato
un agente e i permessi per lavorare. Lì nessuno
ti aiuta per nessun motivo al mondo, ma non ti
ostacolano quindi ci sono infinite possibilità.
Dopo un’esperienza decennale a
Giorgia
Jagger