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solo, concentrato sull’evento. Ora si
lavora con lenti dinamiche meno niti-
de e precise di quelle statiche. Unite
a fotocamere digitali con mirini meno
luminosi, hanno reso indispensabile
l’uso dell’autofocus standardizzando
ogni tipo di risultato, livellando in bas-
so la qualità. Ovviamente ora è neces-
sario formare un team per lavorare
live le fotografie e spedirle alle testate.
Insomma, lavori molto di più, spendi
molto di più e guadagni molto di meno
con soddisfazioni ancora minori.
Qualche consiglio tec-
nico?
Il migliore consiglio tecnico che posso
dare è di conoscere bene ciò che si va
a fotografare. Prima di tutto conosce-
re la pallacanestro, non solo squadre,
atleti, allenatori e schemi, ma anche i
palasport e le differenze di incidenza
e caduta delle luci. Poi cercare di por-
tare nella pallacanestro qualcosa che
venga da fuori che possa essere un’al-
tra logica, un’altra filosofia, un’altra
ottica, il tutto senza arrendersi alla
retorica dello sport.
Cosa consiglieresti a
chi volesse cominciare
a fotografare basket?
Il consiglio è studiare, leggere, ascol-
tare, come ha splendidamente detto
Nino Migliori
“la fotografia ha ormai
molta più affinità con la letteratura
che non con la pittura”
. La fotografia è
un linguaggio, non lasciate che siano
altri a dettare le regole grammaticali,
la sintassi e l’economia del racconto
fotografico.
Hai qualche ricordo spe-
ciale legato alla palla-
canestro?
Di ricordi ne ho tanti, la fifa da verti-
gini quando salgo sul tetto di un pa-
lasport e quando mi cadde addosso
Shaquille O’Neal pesante e sudato.
Lo scudetto vinto a Treviso da Mike
D’Antoni e io che lo fotografavo mentre la gente
ci trasportava di peso, la medaglia d’oro bacia-
ta da Carlton a Parigi, Sandrino Galleani che mi
ricuce la gamba squarciata nello spogliatoio di
Varese durante le feste per lo scudetto, Vincen-
zino Esposito che guarda dalla barella i com-
pagni vincere il campionato a Milano, il tiro di
Djordjevic per la Coppa del Partizan a Istanbul,
la gioia di Sasha al terzo scudetto in fila, le Cop-
pe dei Campioni di Basile e Fucka a Barcelona e
quelle di Ettore con il CSKA, le sceneggiate di Lombardi, Obradovic e Ger-
shon, Alberto Bucci che da’ un calcio a un bicchiere di carta inondando-
mi d’acqua, il numero tatuato sul braccio di Noah Kliger e il suo sorriso
a Tel Aviv, il sorriso sempre stampato sul viso di Pino Brumatti e le con-
tinue prese in giro di Dan Gay, le finte di Manu Ginobili a cui abboccava-
no tutti, sempre! La coreografia a forma di V composta da culi nudi prima
di un derby in piazza Azzarita a Bologna, Chicco Ravaglia che esulta in
mezzo alla Virtus per la Coppa dei Campioni a Barcelona e le lacrime di
Vincenzino e Ricky Morandotti al suo funerale, il lungo addio silenzioso di
Paolo Barlera e il vuoto lasciato da Davide Ancillotto e Denis Innocentin…