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By   /   18 febbraio 2017

An assassination in Turkey di Burhan Ozbilici è la fotografia dell’anno letta da Enrico De Santis

Il World Press Photo, l’Oscar del fotogiornalismo, è arrivato alla sua 60esima edizione e la giuria, quest’anno presieduta da Stuart Franklim, ha premiato la foto intitolata “An assassination in Turkey”.

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Un titolo da romanzo per lo scatto del fotografo turco Burhan Ozbilici dell’ Associated Press, che ritrae l’assassino 22enne, Mevlüt Mert Altıntaş mentre grida con l’indice della mano sinistra alzato verso l’alto e la pistola nella mano destra verso il basso. E’ il 19 dicembre 2016 ed ha appena ucciso l’ambasciatore russo in Turchia, Andrey Karlov ad Ankara. Il cadavere è a terra con il corpo, non interamente inquadrato, rivolto verso l’alto, il torace nasconde completamente la testa. Non vediamo l’espressione del viso, e neanche le ferite della vittima che rimane sullo sfondo come le tre fotografie sul muro e quel paio d’occhiali a terra. La foto non sembra “vera”. L’improbabilità dell’evento, ripreso sotto le luci da set cinematografico accese per l’inaugurazione di una mostra e l’inquadratura, che cela la vittima ed esalta il killer, creano una scena da film per una morte quanto mai reale. Non a caso molte pellicole sono state citate dai commentatori della foto. Giustamente sia Michele Smargiassi della Repubblica che Paolo Di Stefano del Corriere della Sera vedono nella posa dell’omicida il gesto di John Travolta ne La febbre del sabato sera.

Ma guardando meglio c’è di più che una posa trionfante simile a quella finta dagli attori. Proprio il dito indice e quel grido di rabbia, ben diverso da quello disperato di Munch, rappresentano il messaggio reale della foto. Quel grido sembra far sentire ancora le sue parole: “Noi moriamo ad Aleppo tu muori qui… è il conto per la Siria”

Quell’indice alzato non è un passo di danza alla Tony Manero e non ha neanche la funzione di indicare, come faceva quello dello Zio Sam con la famosa scritta “I want you for U.S. Army” usata sia nella prima che nella seconda guerra mondiale. Non è l’indice dell’apostolo Tommaso nel Cenacolo di Leonardo da Vinci alzato verso Gesù per chiedere qualcosa ma è una sorta di shahādah, una dichiarazione, un gesto in codice usato per indicare la vittoria dagli estremisti islamici e che simboleggia l’unicità del credo e l’esclusione di qualunque altra interpretazione religiosa che non sia quella fondamentalista.

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Ci sono altre foto che, parafrasando Barthes, immortalano questa morte. Una è (credito: Reuters/Sozcu Newspaper) scattata nello stesso momento. Si vede tutto il corpo e anche la testa della vittima, e le braccia sono allargate in una crocifissione perfetta. In questa foto è il volto del killer ad essere coperto dal suo stesso braccio alzato, un immagine speculare e opposta a quella scelta dalla giuria, che mostra tra i visitatori che cercano protezione, proprio Burhan Ozbilici mentre scatta la foto vincitrice.

La sua foto è stata premiata  tra le oltre ottantamila immagini inviate dai 5.034 fotografi che hanno partecipato perché soddisfa tre requisiti fondamentali. La notizia è rilevante richiama la cronaca e la politica di Russia,Turchia e Siria di tutto il 2016. La fotografia è al contempo simbolica e vera, nel senso di non costruita, caratteristiche non così scontate nel fotogiornalismo odierno. Il fotografo è stato bravo nella rapidità di esecuzione e, tenendo conto che l’attentatore ferì altre tre persone prima di essere soppresso dalle forze di sicurezza, è stato anche freddo e coraggioso, anche se non è stato l’unico. Lui si trovava lì per caso, accompagnava un collega fotografo che era tra quelli della mostra di fotografia sulla Kamchatka che l’ambasciatore era venuto ad inaugurare.  Per una volta si premia una foto che invece di fingere di essere reale è così vera da sembrare finta.

Enrico De Santis

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