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Buskers. 25 anni di arte in strada

By   /   9 ottobre 2017

Per festeggiare la trentesima edizione del Buskers Festival di Ferrara è stato pubblicato un libro che raccoglie le fotografie scattate dal noto fotografo italoamericano Joe Oppedisano, intervistato da Luisa Bondoni

1987-2017: quest’anno il Buskers Festival di Ferrara, rassegna internazionale del Musicista di strada compie trent’anni. Nasce nel 1987 quando l’allora Sindaco di Ferrara dopo essere stato a New York e aver visto esibirsi gli artisti di strada nella Grande Mela, incontra l’idea di Stefano Bottoni, direttore artistico della manifestazione e presidente dell’Associazione Ferrara Buskers Festival, il quale progettava di creare un festival di strada nella sua città.

Oggi per festeggiare la trentesima edizione del Festival è stato pubblicato il libro “Buskers. 25 anni di arte in strada”, volume che raccoglie le fotografie scattate dal noto fotografo italoamericano Joe Oppedisano nell’arco della sua partecipazione al Festival. Il libro, il cui progetto grafico è di Maurizio Garofolo, con testi di Stefano Bottoni, Renato Broglia, Guido Cecere e dello stesso Oppedisano, è una raccolta di fotografie realizzate dal fotografo nell’arco di venticinque anni di attività tra gli artisti di strada e racconta questa intensa ed emozionante relazione che si crea tra soggetto e autore, sia dentro uno studio che per le strade di una città metafisica come Ferrara.

_1_Joe 50x60 Polaroid By Bruno Droghetti Ferrara 1994

Il Buskers Festival di Ferrara è sicuramente la più grande manifestazione di artisti di strada d’Italia, che ogni anno raccoglie centinaia di artisti e migliaia di spettatori. Quest’anno il Festival festeggia i suoi primi trent’anni, era il 1987 quando Stefano Bottoni diede il via alla sua idea di creare un periodo in cui si potesse suonare per le strade. Quando nasce e come nasce la tua collaborazione con il Festival?
Dopo il mio progetto realizzato nel 1989 dedicato al Circo Americano con un apparecchio 50 x 60 cm fui invitato dalla Polaroid a creare un altro progetto a Roma nel 1991 al Palazzo delle Esposizioni, durante la grande mostra della collezione Polaroid USA “Sviluppi non Premeditati. La fotografia immediata fra tecnologia e arte”. Per questo progetto pensai ai musicisti di strada, non ricordo di preciso il motivo, forse fui spinto anche dalla difficoltà nel realizzarlo, l’evento era previsto se non sbaglio nell’ottobre del 1991. Per questo motivo ho iniziato a visitare i pochi festival che c’erano in Italia di musica di strada durante l’estate, come Pelego in Toscana e il Ferrara Buskers, dove mi recai per reclutare musicisti e altri artisti da invitare a Roma per essere ritratti con la Big One 50×60 Polaroid. Avevo invitato circa 30 artisti, tra singoli e gruppi, i quali sono venuti a Roma spesati dalla Polaroid per partecipare, ed è cosi che a Ferrara ho conosciuto Stefano Bottoni e gli altri dello staff.

Ferrara Buskers 1994-125Ferrara mi affascinò e dopo il progetto di Roma l’anno successivo tornai a fotografare personalmente, mi affascinava la vita nomade del musicista di strada, un pò come la mia, e nei due anni successivi proposi di portare la Big One a Ferrara e realizzare una mostra in progress nel 1994. Parlai con l’organizzazione del Buskers Festival sulla possibilità di uno spazio per allestire lo studio e anche una mostra, Stefano Bottoni e gli altri ne furono entusiasti, mi aiutarono a chiedere i vari permessi al Comune di Ferrara dove all’epoca c’era Dario Franceschini come Assessore alla Cultura che appoggiò il progetto; proposi quindi alla Polaroid il progetto e anche loro ne furono entusiasti visto il grande successo di Roma. Poi negli anni quando mi era possibile tornavo sempre al festival per continuare il mio progetto sui musicisti Buskers, e sono stato accolto nella famiglia del Buskers Festival e oggi posso dire che è diventata come la mia seconda casa italiana.

La musica fa da sempre parte della tua vita, se non sbaglio da ragazzo suonavi la chitarra. Il rapporto con questi artisti non è solo professionale, ma anche di spirito immagino. Se così è vero, come ha influito sulla realizzazione del tuo progetto?
Penso che nel mio subconscio sia stata una chiave trainante il fatto che da ragazzino volessi fare il musicista e suonassi la chitarra, come tanti altri, poi scoprii la fotografia e lasciai lo studio della musica, per cui mi sento molto vicino ai musicisti e c’è un feeling di connessione particolare; questo a mio parere ha facilitato la realizzazione del mio progetto, e devo dire che ho anche vari amici che suonano professionalmente.

_Bandaradan_Montato

Racconti che allestivi degli studi in cui su medesimi fondali facevi posare gli artisti, un po’ come fece Irvin Penn nei suoi Worlds in a small room. Quale approccio hai avuto nei confronti del soggetto? Hai lasciato loro la libertà di azione o sono stati indirizzati in modo da risultare il più espressivi possibile?
Ho cercato di creare un rapporto diretto con i musicisti e i gruppi e volevo che suonassero per me, ma prima di questo creavo delle composizioni che a mio avviso avessero un carattere stilistico unitario, per esempio il set fotografico è uno spazio molto più ristretto della strada dove gli artisti possono esibirsi. Quando io lavoro in studio non lascio mai la libertà di azione, quello è il mio mondo e cerco di dirigerlo nel migliore dei modi per soddisfare le mie esigenze, se vogliamo chiamarle artistiche, quali la composizione, la luce, l’azione, poi infine lascio spazio all’improvvisazione sul set.

La scelta dei fondali non è stata casuale. Dalla città cubista alla maniera di Lyonel Feininger a sfondi più omogenei e classicheggianti. Alcuni di queste influenze tornano costantemente nel tuo lavoro, come per esempio nei tuoi mosaici fotografici. Sei un artista poliedrico che non possiamo incasellare in un genere. Sei un artista a tutto tondo. Cos’è che fa la differenza in un mondo in continua evoluzione tecnologica?
_Collage Khukh MongolBella domanda. Guarda caso quando ho iniziato il progetto nel 1991 a Roma, avevo già iniziato i miei mosaici fotografici con la fotocamera modificata per cui ero già in un mondo sperimentale e se vogliamo chiamarlo cubista. A volte una cosa traina l’altra non so se mi spiego, per cui ho scelto il fondale alla maniera di Lyonel Feininger che è un artista che mi piaceva molto e non a caso egli è anche il padre di Andreas Feininger, grande fotografo nella storia della fotografia. Sono passato poi al fondo omogeneo, mi piace variare ogni progetto, anche se si conclude in una unicità che abbia un suo carattere; anche con il progetto del circo ho usato due fondali diversi, uno più o meno monocromatico e un altro molto più colorato.

Tutto sommato sono un grande curioso di quello che mi circonda e aver viaggiato molto, ma non ancora abbastanza, mi ha permesso di conoscere varie culture e situazioni diverse dalle mie, già da bambino ad 8 anni quando mi sono trasferito in America ed è stata un’esperienza che mi ha segnato la vita a venire, per cui la mia vita si può dire è stata sempre una costante evoluzione di esperienze positive e negative,  entrambe vanno in parallelo. Per cui in tutta questa evoluzione tecnologica che dagli anni ottanta ha preso sempre più velocità  e negli ultimi 10 anni sfreccia come un razzo che a volte è difficile starci dietro, la cosa che fa la differenza è cercare di prenderla con un po’ di Zen e specialmente in fotografia bisogna sempre ricordare che non è la macchina che fa l’immagine ma essa la registra e basta. Dobbiamo ricordare che la nuova tecnologia da ulteriori strumenti da utilizzare, nuove porte da aprire e scoprire nel creare immagini, per cui bisogna sperimentare e saperla usare in un modo diverso per ottenere risultati diversi. Io scatto in digitale dal 2010, e ho fatto il mio primo progetto in digitale cioè utilizzando la tecnologia come base nella serie  Straz’s, ma di questo potremmo parlarne in un’altra occasione. Forse anche per questo motivo da alcuni anni ho ripreso a creare immagini con la mia Pin Hole 10×12 per tornare al piacere del Lento (Slow Photo). La tecnologia bisogna usarla e non abusarla, e oggi purtroppo è più abusata che usata.

Interessantissima nel libro la parte dedicati ai ritratti in Polaroid 50×60 cm. Per chi come me ha avuto la fortuna di vedere gli originali, l’esperienza è ipnotica. A distanza di vent’anni questi pezzi unici sono ancora brillanti e vivi. Sei tornato un fotografo ambulante con un apparecchio pesante ed ingombrante, ti sei calato in un modo di scattare che è lontano dall’immediatezza di oggi. Raccontami questa esperienza unica. 
Naked Truckers-5700Prima di tutto l’esperienza di oggi dell’immediatezza digitale non ha nessun confronto perché è virtuale e non c’è nessuna fisicità del’ immagine se non viene stampata e questo non è immediato. La Polaroid quella di una volta lo era e la Big One aveva un fascino unico per la sua dimensione e per la qualità dell’ immagine prodotta, che nemmeno il digitale è riuscito a superare. La separazione avveniva dopo  sessanta secondi ed appariva l’immagine, stupenda, unica ed irripetibile, sublime nel suo cromatismo particolare. Mi sento privilegiato di aver avuto la fortuna di essere stato sponsorizzato dalla Polaroid dal 1987 al 1994 , di aver avuto la possibilità di lavorare con la Big One 50 x 60 cm sui diversi progetti che proponevo.

Era la più grande macchina fotografica istantanea al mondo e viaggiava con un tecnico Yanizzo e l’attrezzatura di illuminazione per lo studio. Forse sono sempre stato un fotografo ambulante, visto che anche nel mio lavoro professionale ho sempre lavorato muovendomi molto, in varie location e anche in vari  nazioni. Già nel 1985 con un mio amico collega americano Grant Peterson che aveva costruito un studio portatile di 5x 4 metri che stava in uno zaino e  utilizzava per fare degli still life in location utilizzando la luce naturale, abbiamo viaggiato insieme a Venezia in Piazza Santo Stefano e in Calabria a Gioiosa nel mio paese di origine, dove ho fatto dei ritratti in 20×25 cm bianco e nero di persone per strada in stile August Sanders ed è stato molto divertente.

Gli ultimi ritratti contenuti nel libro vedono gli artisti ritratti mentre saltano, alla maniera della Jumpology di Philippe Halsman. Egli diceva che quando l’uomo salta perde la  sua maschera, è davvero se stesso. E’ accaduto anche nei tuoi scatti e nel rapporto con gli artisti, che già vivono una vita di libertà e creatività?
Rome Buskers 1992-113Lo stile di Halsman è unico, egli è stato il primo a bloccare una persona nell’atto di saltare in studio e questo gli era stato possibile grazie all’evoluzione e alla introduzione nel mercato fotografico del flash elettronico negli anni 50, inventato dal Dr. Harold Edgerton di M.I.T. già nel 1926 (pochi sanno però che durante la seconda Guerra Mondiale questo era un segreto militare, e solo successivamente venne messo sul mercato fotografico). Credo sia vero quello che dice Halsman, è successo lo stesso anche nei miei set, quando la persona ritratta salta perde la maschera perché si diverte e diventa molto più sciolto nelle sue emozioni, e poi è una gioia saltare visto che la gravità ci tiene sempre con i piedi per terra sia fisicamente e anche a volte mentalmente.

L’aspetto difficile era che io volevo che saltassero con i loro strumenti come se stessero suonando, per dare più naturalezza e dinamicità all’immagine. Insolita era anche la ricerca nel descrivere uno stato d’animo che solo i veri musicisti esternano quando suonano, creando un’atmosfera magica, come se si volasse. Ho dovuto farli saltare uno alla volta al massimo in due, per una mancanza di spazio e anche per avere più controllo nello scatto e poi montare successivamente gli scatti. Gli artisti di strada vivono una vita di libertà e creatività ma c’è sempre un prezzo da pagare per la libertà, non è gratis, è una scelta di vita non so se mi spiego.

Durante il periodo del Festival è possibile partecipare al tuo workshop di fotografia per riprendere e interpretare i magici rapporti fra una città e i suoi musicisti. Ogni anno attira moltissimi allievi. Qual è la chiave per coinvolgere i fotografi in un genere, quello della fotografia di strada, ormai così inflazionato?
Pola_50x60_Buskers016Il mio ritratto in strada è un po’ diverso dal classico approccio, perché vede la partecipazione della persona ritratta, è un ritratto richiesto dal fotografo, comprende anche una parte di messa in scena. Serve per sviluppare l’insegnamento che un ritrattista dovrebbe avere la capacità di coinvolgere le persone nel fare delle cose anche un po’ insolite, per cui è un ritratto in strada a 4 mani, in cui il fotografo è il regista della situazione.

Questo è nato da un progetto che facevo con gli studenti di Brera quando ho insegnato in Accademia dal 2007 al 2010, approccio che è nato anche dalla necessità di sopperire alla mancanza di spazio e di attrezzatura in  accademia, per cui ero costretto a portare gli studenti a lavorare in strada, ed è così che è nato il progetto “I Volti della Città” che poi è stato esposto presso il Teatro Franco Parenti nel 2009 (per chi fosse interessato ad approfondire il progetto di seguito il link https://www.youtube.com/watch?v=QhgYCvmoIr4).

Questo libro è un inno alla vita, alla creatività, al colore, alla fantasia. E’ un libro positivo, che ti incanta per la sua semplice poesia e per l’energia che ciascun ritratto trasmette. Qual è il tuo obiettivo con questo libro, oltre che festeggiare i trent’anni del Festival?
New Scan 50x60 Pola Buskers0506È come dico nel mio testo nel libro. Realizzando questo progetto voglio dare ai Buskers, rappresentati in questo libro, e anche a quelli che non ci sono, lo speciale riconoscimento che essi meritano, come veri artisti. I loro ritratti sono per lo più fatti in studio. Può sembrare contraddittorio fotografare i Buskers in un ambiente artefatto come uno studio ma ho fatto questa scelta perché istintivamente, quando fotografo una persona, cerco la sua partecipazione nell’azione del ritratto.

Prendendo i Buskers fuori dal loro contesto abituale della strada e posizionandoli nella dimensione concentrata e separata dello studio, vivo con loro in uno spazio privato e all’interno di una atmosfera particolare. Il mio scopo e la mia sfida, nella creazione della luce e nel tentativo di dirigere l’azione, sono quelli di trovare un modo che rivelerà qualcosa di speciale del loro io interiore mentre suonano per me, il loro fotografo.

 

IL LIBRO 
BUSKERS. 25 ANNI DI ARTE IN STRADA (preview del libro)
testi di: Joe Oppedisano, Guido Cecere, Renato Broglia, Stefano Bottoni
Testi in italiano e inglese
Formato: F.to chiuso 24,5 x 28 cm; F.to aperto 49 x 28 cm
Brossura cucita al vivo composta da 112 pag. interne stampa 4/4 colori su carta Fedrigoni patinata opaca da 170g; stampa 4/0 colori su cartoncino Symbol card da 270g + plastica lucida.
Illustrazioni: 79
Prezzo: 25 euro compresa spedizione ordinaria in Italia
Per Ordinare: scrivere a joe.cavriana@gmail.com

IL FOTOGRAFO
JOE OPPEDISANO nasce nel 1954 a Gioiosa Ionica (RC). A sette anni si trasferisce a New York con la famiglia. Giovanissimo comincia a dedicarsi alla fotografia; nel 1971 si scrive al Queens College di New York e nel 1973 frequenta un corso di fotografia presso la stessa Università. Nello stesso anno frequenta la School of Visual Arts di New York; contemporaneamente approfondisce la sua esperienza professionale lavorando come assistente per alcuni noti fotografi pubblicitari. Nel 1979 è invitato alla Manifestazione Venezia 79 – La Fotografia come Assistente Tutor ai Workshops. Nel 1982 torna in Italia e si stabilisce a Milano, collabora con diversi agenzie e case editrici -Rizzoli, Mondadori- realizzando servizi per riviste e numerose campagne pubblicitarie: tra queste per Adidas, Yomo, Pionier, Hitachi, Panasonic, Grundig, KodaK, Apple, Fiat, Alfa Romeo, Campari , R.A.S. American Express. Parallelamente al lavoro commerciale svolge un’autonoma e continua sperimentazione sull’immagine. Nasce così un linguaggio originale basato su un prolungamento del tempo reale di visione dell’immagine; una tecnica ottenuta da Oppedisano grazie a modifiche da lui studiate e messe in opera sulla sua macchina fotografica – per le sue caratteristiche unica al mondo – in grado di ottenere una fusione tra un fotogramma e un altro. I risultati di tale incessante ricerca sono stati pubblicati su numerose riviste specializzate, e esposti a numerose mostre in Italia e all’estero. Le sue immagine sono conservate in varie collezioni private e istituzioni. Insegna Fotografia al ISIA di Urbino nel Biennio di Specializzazione di Fotografia.

 

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