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Nuove professioni: lo storyteller

By   /   5 dicembre 2013

Una parola entrata da poco nel quotidiano dei fotografi ma importante da approfondire: storytelling

La rete è il luogo del racconto e ci offre la possibilità di dialogare con tutti gli strumenti narrativi disponibili: fotografia, video, audio e parole. Tutto questo si può chiamare storytelling, una parola entrata da poco nel quotidiano dei fotografi ma importante da approfondire per comprenderne appieno il significato e individuare le nuove possibilità lavorative offerte dalla rete.

Per capire chi sono gli storyteller abbiamo incontrato Elena Torresani, scrittrice e storyteller per l’agenzia Brand-it-up.

1 – Elena, chi sono gli storyteller?
Lo storyteller è un narratore di storie, nel senso più ampio del termine: c’è chi racconta storie con le parole, chi attraverso le immagini, i video, i fumetti o altri strumenti narrativi. Lo scopo è quello di trasmettere a chi ascolta, legge o guarda il senso e l’emozione profonda di qualcosa, anche in ambiti piuttosto complicati per le implicazioni che hanno, come il giornalismo.

2 – Perché è diverso da un normale giornalista?
Il giornalismo deve informare, far conoscere. Lo storyteller deve coinvolgere, penetrare, legare il lettore, dandogli gli strumenti emotivi – e non solo conoscitivi – per entrare a contatto con una storia nel modo corretto. Lo storytelling vuole destare l’attenzione, attivarla e tenerla vigile. Se un uomo è stato ammazzato, può ad esempio non bastare la cronaca del fatto di sangue: raccontare chi era quell’uomo – raccontarlo sul serio – è senz’altro uno strumento importante per non far cadere quella morte nelle statistiche senza lasciare traccia, né ricordo, né senso. È chiaro che poi qui entrano in gioco teorie diverse su quello che il giornalismo deve essere.

3 – È la rete che ha contribuito a cambiare la professione?
La rete, certo, ma solo perché il marketing ha capito il momento. È dimostrato che in rete le persone hanno una soglia d’attenzione bassissima: sono bombardati da informazioni, immagini, notizie, input di ogni tipo in ogni momento, e riservano ad ogni link solo pochi secondi del loro tempo.
Succedeva così anche con i 30 secondi di spot della pubblicità tradizionale, che però interrompeva una narrazione (un film, una trasmissione, un telegiornale) mentre oggi rivendica un palcoscenico narrativo tutto per sè.
La rete ha fatto in modo che la pubblicità e l’informazione non potessero più essere unidirezionali: in rete le persone commentano, interagiscono, domandano, pretendono verità, vogliono una conversazione, chiedono attenzione. Non accettano più passivamente ciò che viene detto loro, ma vogliono essere convinti, sedotti, coinvolti: il marketing ha capito che le storie sono un buon modo per raccontare la propria identità e spiegare una mission, permettendo ai clienti di prendere a cuore un evento, una causa o un brand per i valori di cui si fa portatore. E più la storia è ben raccontata, più fa breccia in quei secondi di (scarsa) attenzione che ognuno di noi dedica ai vari link in rete: un titolo shock o un claim non bastano più.
All’ultima edizione del Festival del Giornalismo di Perugia dello scorso aprile, visto il trend assoluto verso l’abbreviazione, il tweet, il titolo shock, il singhiozzo comunicativo, la tendenza al racconto lungo delle notizie è emersa inaspettatamente: pare che, data una certa qualità dei contenuti, alcune storie ben narrate riescano ad inchiodare i lettori davanti allo schermo per parecchi minuti. Un fenomeno sul quale investire.

elena-torresaniElena Torresani – chi è?
Scrittrice, docente di scrittura creativa, brand-storyteller per l’agenzia Brand-it-up. Ha collaborato con GQ e per un anno ha raccontato storie di donne per il progetto “Women will save the world” per Maggie Jeans.
www.elenatorresani.com

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